L'ARCHIVIO DELLE COLLABORAZIONI
FATALITA' INEVITABILE O CRIMINALE NEGLIGENZA? | Luciano DONDERO | n° 6 del 2 gennaio 2005 |
ALPAZUR: una regione da costruire? | DESCAMISADO | n° 5 del 27 dicembre 2004 |
UN OCCITANO | BERRETTA | n° 4 del 20 dicembre 2004 |
SUL CENTRO DESTRA | DESCAMISADO | n° 3 del 13 dicembre 2004 |
FERRANIA: nomi attendibili??? | IL GIRONDINO | n° 2 del 5 dicembre 2004 |
FATALITA' INEVITABILE O CRIMINALE NEGLIGENZA?
di Luciano Dondero
L'ecatombe in Asia ha già fatto diverse decine di migliaia di morti. Altri ancora si aggiungeranno con il diffondersi di malattie e addirittura di epidemie come conseguenza delle distruzioni. Ma se i terremoti e gli tsunami sono dei disastri naturali, non lo è affatto la decisione di spendere miliardi di dollari o di euro per fare delle guerre di conquista, ignorando delle semplici misure che possono salvare le vite umane. La cifra dei morti aumenta ogni giorno: prima diecimila, poi trentamila, poi cinquantamila, adesso si parla di centomila. Ma il macabro conteggio non è ancora finito. E un terzo dei morti sono bambini. Ci sono decine di migliaia di dispersi e sono rimasti senza casa, senza lavoro, senza niente a milioni. Questo in alcuni fra i paesi più poveri del mondo. Ora non c'è più acqua potabile, non ci sono fognature, non ci sono servizi sanitari, come dice il sottosegretario delle Nazioni Unite Jan Egeland, che è responsabile del coordinamento dei soccorsi: “Non possiamo nemmeno immaginare il costo per queste povere società, con tutti i villaggi di pescatori che sono stati spazzati via. Le perdite sono nell'ordine di centinaia di migliaia". Era davvero inevitabile? Molte delle morti e distruzioni si sarebbero potute evitare se si fosse messo in mare un sistema piuttosto semplice e relativamente poco costoso di boe. Vari funzionari in Tailandia ed Indonesia hanno detto che un sistema di allarme immediato avrebbe salvato molte vite, ma loro non erano al corrente del pericolo perché non c'è un sistema internazionale per controllare il formarsi di tsunami nell'Oceano Indiano. E questo non è tanto difficile da fare. In effetti, le boe che controllano gli tsunami esistono da vari decenni, e gli Stati Uniti hanno un sistema di allarme in funzione da più gli cinquant'anni. Oltre 50 sismometri sono dislocati nella parte settentrionale del continente americano per scoprire e misurare i terremoti che potrebbero dare origine a degli tsunami. In mezzo all'Oceano Pacifico ci sono sei boe dotate di sensori, chiamati "tsunametri" che misurano piccole variazioni nella pressione dell'acqua, e che sono programmati per dare automaticamente l'allarme ai due centri di allarme-tsunami, uno nelle isole Hawaii e l'altro in Alaska. Il dottor Eddie Bernard, direttore del Laboratorio di Studi Marini del Pacifico a Seattle, dice che qualche boa sarebbe bastata a cambiare la situazione. Gli scienziati volevano mettere altri due misuratori di tsunami nell'Oceano Indian, uno dei quali nelle vicinanze dell'Indonesia, ma il piano non ha avuto i fondi necessari, secondo il dott. Bernard. Ognuno degli tsunametri costa soltanto 250.000 dollari (circa duecentomila euro). Quindi mezzo milione di dollari sarebbero bastato a costruire un sistema d'allarme remoto che avrebbe potuto salvare migliaia di vite umane. Basta confrontare questa cifra coi millecinquecento milioni di dollari che gli Stati Uniti spendono ogni giorno per finanziarie la macchina di guerra del Pentagono. Come a dire che coi soldi di un solo secondo di bombardamenti e distruzioni spesi dagli Stati Uniti si sarebbe potuto costruire un sistema di allarme adeguato. Non averlo fatto è un caso di negligenza criminale. In una riunione della Commissione Oceanografica Intergovernativa dell'ONU nello scorso giugno, gli esperti hanno concluso che “Nell'Oceano Indiano c'è un rischio significativo di tsunami a livello locale e oceanico” e che ci voleva un sistema di allarme remoto. Ma non si è presa alcuna decisione concreta. Il geologo Brian Atwater della Protezione Civile americana (U.S. Geological Survey) ha detto che "Sumatra ha una lunga storia di tremendi terremoti, e che questo rende ancor più tragica l'assenza di un sistema di allarme degli tsunami nell'Oceano Indiano. Tutti sanno che Sumatra era una bomba ad orologeria." Ancora più tragico è il fatto che il governo degli Stati Uniti era stato informato dello tsunami, ma non lo ha detto ai governi della zona. Pochi minuti dopo il terribile terremoto di grandezza 9,0 al largo dell'isola di Sumatra in Indonesia, gli scienziati americani dell'Ufficio che gestisce il controllo del clima oceanico ed atmosferico (National Oceanic and Atmospheric Administration) si è reso conto che c'era un grosso rischio di tsunami. Il NOAA ha immediatamente messo in guarda la base navale americana a Diego Garcia, che ha avuto ben pochi danni. Ma non ha avvisato le autorità civili dei paesi della zona. Questa è una discrepanza significativa. La base militare è stata avvisata, ma i civili no. Il risultato di questa criminale negligenza sono state le migliaia di morti. Infatti per salvarsi dallo tsunami bastava salire di un dieci-venti metri rispetto al livello del mare, e questo si può fare, in molti posti, in pochi minuti. Ma non quando sta arrivando l'onda! ++
(Mi sono basato per questo messaggio su materiali diffusi dall'International Action Center di New York.)
ALPAZUR: UNA REGIONE DA COSTRUIRE?
A proposito degli Occitani, citati in altra lettera, sovverrà a molti l'idea di un gruppo savonese appunto di studi occitani (non me ne voglia nessuno quando dico che il promotore era - è? - Teardo e il progetto arenato ormai da qualche tempo) che rilevava l'omogeneità della zona del ponente ligure con quella alle sue spalle, il cuneese.
In effetti, al di là di velleità politiche di chicchessia, la liguria è una regione che, così com'è posta, è "inutile" e disorganizzata; una striscia di terra lunga oltre 250 km e larga 3 più l'entroterra case sparse salvo eccezioni, dove da un polo all'altro le differenze sono enormi, senza alcuna forma di sinergia, antipodi (ma anche in mezzo) fortemente scollegati, con realtà talmente diverse da sembrare, in caso di richieste regionali, i capponi di Renzo. Che ha a che fare uno spezzino con un imperiese, o un savonese? ma anche con un genovese!
Meglio sarebbe, allora, ridisegnare i territori per interessi omogenei e contigui, anzichè "legare" fra loro realtà che non si guardano in faccia.
Immaginiamo quindi una nuova realtà regionale formata da Cuneo, Savona e Imperia, le "alpi azzurre". Area a forte vocazione turistica, che lascia però posto rilevante al terziario e all'eventuale attività portuale mista.
Una Regione da costruire, soprattutto in infrastutture, che potrebbe anche vedere Savona come Capoluogo Regionale, attivando tutta una serie di attività amministrative e che darebbe a Savona un senso d'essere, poichè viatico marittimo-montano. Affrancherebbe il Ponente (finalmente?!?) da Genova, troppo presa dai suoi affari interni per badare alle periferie, e Cuneo, provincia granda ma isolata. Abbiamo sicuramente più contatti culturali, e logistici con i cuneesi che con gli spezzini, per non parlare degli imperiesi, cui di Genova frega niente e felicemente ricambiati. Darebbe maggiore appartenenza territoriale, maggiori sinergie lavorative, godremmo un poco del benessere che sta alle nostre spalle potendo dare, stavolta più che apprezzato, i vantaggi del mare da noi snobbato.
Dividere per meglio unirci al resto d'Italia, con ben diversa dignità ed importanza; oggi quando Roma pensa alla liguria pensa a Genova, noi siamo i peones che vivono al confine del (loro) mondo.
Genova soffoca da sempre, da immemore tempo il nostro sviluppo, presa com'è da sè stessa (e magari anche a ragione) per poterci dedicare non più che briciole; sarebbe davvero ora di affrancarci, di respirare l'aria della libertà, sotto tutti i punti di vista.
Descamisado
A riguardo all'articolo rilanciare
le idee, del signor nello doelsi, non si deve fare confusione, il
ligure resterà sempre attaccato al suo giardinetto, egli non pensa
minimamente di collaborare con altri, il suo pensiero è sempre e
sottolineo sempre legato al guadagno. egli non fa niente per niente e nulla per nessuno, paragonarlo
agli abitanti del basso piemonte o addiritura alla provenza è un vero e
puro eufemismo, in liguria si coltiva la cultura se rende, egemonicamente
gestita da gruppi di grandi professori, essi dettano legge un pò dovunque
con le loro idee e se non le si parteggiano, caschi il mondo. ora da tutto questo cosa volete che nasca, solo un misero brodo
di rape. il ligure, da brigante che è, senza alcuna parola, poche volte
mantiene ciò che ha promesso. paragonare las cultura provenzale e quella occitana a quella
ligure è un vero e proprio insulto per coloro che praticano, la lealtà,
l'onore ed il rispetto come base della loro esistenza. basti guardare la costa ligure al confronto della costa
azzurra, sono identiche dal punto di vista fisico, nessuna ha da invidiare
l'altra, ma la gestione è ben altra cosa, la liguria lamenta perdite
consistenti nel campo del turismo, ma sono i liguri a rovinarla, prezzi
alti e servizi che fanno solo pena, a parte qualche rara eccezione,
personale carente e mal retribuito, il che fa scappare la voglia di
lavorare anche a quei pochi che vorrebbero impegnarsi. un solo esempio per tutti: in provincia di cuneo, i fondi per
l'obiettivo 2 sono stati erogati in 6 mesi, un anno, in liguria c'è gente
che li aspetta ancora adesso. poi c'è la questione di genova, il 90% delle risorse che
arrivano in liguria si ferma nel capoluogo, come se solo loro avessero una
storia alle loro spalle e dei monumenti da restaurare. sarebbe l'ora che qualcuno cominciasse a prendere in
considerazione questa arrogante ed incessante appropriazione indebita da
parte di genova e chiedesse il dovuto per la riviera di ponente dove
arrivano solo le briciole. non me ne voliate per questo sfogo, un occitano d'oc cordiali saluti roberto berretta |
Un gesuita non
avrebbe meglio esposto, in termini di tesi, antitesi e sintesi, quanto occorra
in questi ultimi tempi al centro destra nella Provincia di Savona (mi corre il
dubbio che davvero sotto lo pseudonimo di Al
Vento non si celi un appartenente alla compagnia di gesù).
Devo, o forse
semplicemente voglio, però dissentire sulle conclusioni ultime. Facile infatti
pronosticare, viste le premesse, facili sconfitte prossime venture, soprattutto
in funzione di un'area da "profondo rosso".
Ma... Atto che
finora, per motivi oscuri (o forse non lo sono) la situazione deteriorativa del
rapporto fra il centro-destra, e più nello specifico Forza Italia, e gli
elettori è stata non gestita, ovvero lasciata decadere, è anche vero che
almeno due "correnti", termine in questo caso improprie ma quanto meno
pratiche per meglio definire, di pensiero e di persone sono all'opera per
un'inversione di tendenza, che ovviamente necessita immediatezza.
La prima è
composta da coloro che hanno lasciato che ciò avvenisse, e forse in un certo
senso hanno anche contribuito, per poter poi facilmente raccogliere i consensi
con la medaglia di "salvatore della patria"; mi riferisco in
particolare a politici, o politicanti?, che orbitano intorno al partito quando
non ne fanno parte a tutti gli effetti, che per interesse anche personale
ambiscono a cariche che possono anche meritare, ma che sono già occupate da
altri. Occorreva quindi che costoro perdessero peso politico e credibilità per
potersi fare avanti, forti anche di capacità, per potersi proporre come valida
alternativa. Sospetti tanti, certezza alcuna, ma basta interrogarsi su chi,
all'interno di Forza Italia, ha più interessi allo stato attuale per aver
maggiore peso e quindi maggiori riconoscimenti in caso di intervento salvifico.
I secondi, e non
son pochi, sono coloro che, per puro spirito di servizio, si adoperano, trovando
il tempo e pure l'atteggiamento propositivo, per un'inversione di tendenza; sono
molti gli attivisti che non hanno rinunciato alla "lotta" contro
l'inerzia di sinistra e il fancazzismo interno.
Sicuramente la
situazione attuale ha toccato il fondo. Due le alternative: scavare per
sprofondare ulteriormente o risalire una china erta, ma possibile. Entrambi gli
schieramenti annoverano adepti; resta da vedere chi prevarrà.
Descamisado
Leggendo i nomi dei pretendenti
all'acquisto di Ferrania SpA, apparsi sulle cronache locali, non si puo'
che essere presi da un grande sgomento,così come dalle reazioni, tutte positive
di alcuni sindacalisti.
Vediamo brevemente perché.
Alcuni forse ricordano che, poco prima che scoppiasse la crisi conclamata
dell'azienda valbormidese, il cosiddetto management della fabbrica, aveva
annunciato l'arrivo del CAVALIERE BIANCO, che avrebbe risolto i problemi
finanziari in corso: esso rispondeva al nome di Adt Partners, che ora RITROVIAMO
tra i possibili acquirenti, in compagnia di parte del vecchio management!!!
Se il buon giorno si vede dall'indiscrezione!
Ma andiamo avanti con gli altri nomi,che suggeriscono ben altre preoccupazioni.
ANSALDO: cosa ci azzecca con la chimica fine e il fotosensibile è difficile da
argomentare. Forse bisogna cercare nel settore termomeccanico.
MESSINA: anche qui,mistero fitto,se non andando a cercare il dipartimento
logistica e affini.
CORDATA SPEZZINA: ovvero elettrodomestici e omologhi,finchè dura. Se poi sono specializzati nel rilevare e ricollocare aziende in
crisi,allora la frittata è fatta, potevano lasciare il passo a PERMIRA.
C'è poi la misteriosa finanziaria indiana per la quale, a questo punto,non resta che fare il tifo, visti gli altri pretendenti,e a questo punto
sperare contro ogni speranza.
In conclusione, ciò che si può e deve temere, è una procedura che ci ricorda l'amara vicenda dell'Ilva di
Savona.
Ma forse eccediamo in
pessimismo,forse ci soccorrerà un GRANDE da TORINO.
IL GIRONDINO