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ESCLUSIVO – Reportage dalle Alpi Marittime, nel “rifugio” di un banchiere

Il “BUEN RETIRO” DEL VESCOVO?

NELLA “CASA DEI CACCIATORI”

CON CRESIMA AD UN GALLEANI

“Trucioli savonesi” ha scoperto dove monsignor Domenico Calcagno, per oltre cinque anni amato vescovo di Savona, promosso in Vaticano, trascorreva i relax estivi, ospite di una famiglia perbene.  Con la storia di una banca, ad Alassio e di tre fratelli che avevano creato Monesi, la stazione sciistica, la seggiovia, il Golf di Garlenda ed un impero immobiliare. A fine anni settanta il crollo, tra vendette personali e misteri mai chiariti. Chi aveva interesse a distruggere quel gruppo che ha persino dovuto svendere l’omonima banca con diecimila clienti e 50 dipendenti? Chi nascose in un garage 500 candelotti di dinamite, “soffiando” alla polizia la presenza di un (falso) covo delle Brigate Rosse? Abbiamo ricostruito quel periodo, in attesa di un libro su “I gialli di Alassio”.

Briga Alta


Monsignor Calcagno

BRIGA ALTA (Cuneo) – E’ un’oasi di pace. Una dimora a due piani, con stalle attigue, senza lusso e senza pretese. La natura che la circonda è ricca di profumi, colori agresti, suoni armoniosi. Un fascino da far sognare. La sua costruzione risale alla guerra del ’15-’18.

Si chiama “Casa dei cacciatori” - dimora prediletta (estiva) fino al 1971 del conte-banchiere Federico Galleani di Alassio, dei suoi tre figli, oggi dei nipoti - il “buen retiro” di monsignor Domenico Calcagno, neo segretario generale dell’Aspa (Amministrazione del patrimonio della Sede apostolica), definita la banca vaticana. Calcagno amatissimo ed attivissimo vescovo di Savona, per cinque anni e mezzo, fino al 6 settembre scorso.

E un passato di efficienza e pragmatismo quale economo della Cei (Conferenza episcopale italiana).

Un “rifugio” mai rivelato dai “media”, forse conosciuto dai più stretti collaboratori della Curia vescovile, nonostante i ripetuti riferimenti giornalistici ai giorni in cui il presule “staccava la spina” per <ritemprarsi all’aria salubre della montagna>.

Il vescovo è riuscito, col suo stile bonario, a tenere “riservato” quest’angolo di “paradiso terrestre” sulle Alpi Marittime cuneesi, in zona Navette descritta in decine di pubblicazioni come una delle aree più belle ed interessanti, incontaminate, ricca di flora e di marmotte, ma non solo, ai confini tra le province di Imperia, Cuneo e la Francia.

IL GIORNO DELLA CRESIMA

CON  DIECI COMMENSALI

In questa dimora che ricade nella giurisdizione del Comune di Briga Alta (composto da Piaggia, Upega e Carnino, meno di cinquanta residenti, 161 negli anni ’80, con un’estensione di 53, 51 kmq), il vescovo Calcagno ha anche somministrato, una domenica di fine luglio di quest’anno, il sacramento della Santa Cresima ad un fortunato bambino proveniente dalla parrocchia di Alassio. Una decina i commensali.

Un avvenimento davvero eccezionale, svoltosi nel territorio parrocchiale di Piaggia, diocesi di Mondovì. Frutto di un piccolo privilegio, se vogliamo definirlo così. La cresima “privata”, in un “rifugio alpino”, probabilmente non ha precedenti, a memoria d’uomo. E non saremo noi a giudicare sull’opportunità o meno di questa scelta “pastorale”.

 

    Roberto Galleani

STORIA DI UNA BANCA

E DI UN IMPERO IMMOBILIARE

In fondo potrebbe quasi rappresentare una “riparazione”, pur senza riscossa, per una famiglia che era diventata molto facoltosa, potente, finita nel dimenticatoio.

Un gruppo famigliare che ha segnato e fatto la storia, dopo gli anni cinquanta, della stazione sciistica di Monesi, della stessa Alassio (la banca Galleani, attiva per 69 anni, con sportelli ad Albenga e Laigueglia, 54 dipendenti, 10 mila clienti e un ricco portafogli) e persino la nascita del Golf di Garlenda.

Inoltre, grossi investimenti immobiliari a Ceriale, Alassio e Garlenda.

Un impero andato in frantumi, tra i misteri di asseriti complotti, inchieste giudiziarie, ispezioni della Banca d’Italia, strani ritrovamenti in un garage di 500 candelotti esplosivi (51 kg), dopo una telefonata anonima alla polizia che parlava di un covo delle Brigate Rosse in via Santa Croce 31 di Alassio.

Interrogativi in attesa di risposte convincenti, mai arrivate. Vicende che racconteremo in un libro dedicato a “ I gialli di Alassio”.

CHI E’ RIMASTO

DELLA SAGA GALLEANI

Tornando al presente, il vescovo Calcagno, quella domenica di luglio, ha cresimato Simone Galleani, nipote del conte Enrico (classe 1920, non è più in vita), la mente finanziaria del gruppo famigliare. Il papà di Simone, Gigi, fa l’operatore commerciale in porto. Una figura non da oggi molto apprezzata, circondato dalla stima e dal “rispetto” anche per il nome che porta.  E’ fratello Bianca, Francesca e Silvia (Titti). Eredi di un passato glorioso ormai sconosciuto alle giovani generazioni.

E’ Gigi che ha voluto riscattare la dimora prediletta dal nonno “patriarca” che, a sua volta, l’aveva ricevuta da un insigne primario ospedaliero di Pavia. Era la ricompensa del Comune di Tenda (Francia, ma ex territorio italiano) verso quel “professore” che si era prodigato, salvando decine di vite dalla peste. Si trattava, all’epoca, di una rustica casa padronale, con tre ettari di bosco.

Il conte Federico, appassionato di caccia, la scelse con entusiasmo e con quell’impeccabile intuizione che gli è valsa una fortuna che prese forma dal 1910  (poi dissolta dai figli e il colpo di grazie nel 1977, dopo aver raggiunto il massimo splendore). Nella “Casa dei cacciatori”, il conte Federico rimase fino a due anni prima della morte (13 giugno ’73). Era diventata la sua dimora preferita, non facile da raggiungere, in auto, ieri come oggi. Sempre assistito, per 42 anni, dalla fedele Vittoria, più di una moglie esemplare.

 


Enrico Galleani, seduto, vicino ad un carabiniere in piedi, mentre parla con il fratello Ingo, durante l'udienza
in Tribunale a Savona

GLI ARTICOLI

SUL SECOLO XIX

Una parentesi. Ecco cosa scriveva Il Secolo XIX del 26 maggio ’99, a firma di Luciano Corrado, alla morte di Enrico Galleani, nonno di Simone, cresimato da monsignor Calcagno all’insegna della semplicità:

<....Ora che  Enrico, la mente finanziaria, sepolto nella tomba alassina di famiglia della moglie Berto Teresa, con interessi a Montecarlo; ora che Roberto, il più anziano, classe 1912, tumulato a Ventimiglia nella tomba del padre (il conte Federico) e che Ingo, classe 1914, ha voluto rimanere vicino dove riposa la mamma, Maddalena Galleani, chi resta ancora della notissima famiglia?....>.

Dei figli di Enrico Galleani abbiamo già parlato. Il fratello Roberto che si occupava soprattutto dell’agenzia di Viaggi (dopo il dissesto ebbi modo di raccogliere alcune sue confidenze) ha avuto dalla prima moglie Paolo che prese il posto nella direzione dell’esattoria, dello zio “Larcher” ed è stato funzionario di banca alla Popolare di Novara a Savona ed ha un figlio Giorgio. Sempre Roberto Galleani, morta la prima moglie, ebbe altri due figli, Federico, agente di viaggi alassino, e Agnese, trasferitasi negli Stati Uniti. Infine, Ingo Galleani, l’”inventore di Monesi”, con un solo erede, la figlia Federica che ha fatto l’attrice a Roma e per ultimo ha gestito l’albergo “Redentore”, proprio a Monesi.

Il 25 maggio 1999, nel ricordare la morte di Ingo Galleani, nella sua villa di Alassio, a 85 anni, sempre il Decimonono, scriveva: <Oggi dei Galleani è rimasto poco o nulla. Roberto è morto quasi in povertà, Enrico, la mente della banca e degli affari, aveva subito molti attacchi, alcuni di matrice oscura al punto da fargli ritrovare nel suo magazzino dell’esplosivo. Scattarono le manette, il carcere, l’umiliazione di chi è sbattuto in prima pagina, accompagnato dagli “angeli custodi”. Ha lottato con amarezza, grande dignità, portandosi dietro alcuni misteri che scossero Alassio negli anni settanta. Ingo, al cronista che seguiva i processi in tribunale a Savona a carico del fratello, ebbe modo di manifestargli una certezza (mai provata). “Siamo finiti nel mirino di forze oscure, potenti, penso alla complicità della massoneria deviata, presente nelle Istituzioni, che hanno approfittato delle sventurate inimicizie femminili sfociate tra noi fratelli. Siamo fieri, orgogliosi, nonostante tutto,  di aver contribuito in modo determinante allo sviluppo economico, sociale e turistico di Alassio e di altre località di mare e dell’entroterra>.

Sempre dallo stesso articolo leggiamo: <...Ingo manteneva il fascino di un uomo aitante, sportivo. Era stato lui ad inventare Monesi-turistica,dove aveva mantenuto la residenza, trasformandola in perla e locomotiva trainante per l’Alta Val Tanaro e Valle Arroscia. Andava fiero delle sue origini. Aveva rispettato la volontà del padre, conte Federico Galleani, e sposato in seconde nozze, con la contessa d’Alba. Ingo, con i fratalli Enrico e Roberto, creò la società Tanarello e gli fu affidata l’amministrazione di un albergo (Il Redentore) – oggi un rudere – la seggiovia, la più lunga della Liguria, poi smantellata, gli skilift, pista di pattinaggio sul ghiaccio, costruzione di tre palazzi e palazzine attigui. A Monesi arrivò anche una tappa del Giro d’Italia. Sul finire degli anni settanta, con le discordie in famiglia ebbe inizio una tempesta che si protrasse a lungo, fino alla vendita della “The Anglo American Bank” e di gran parte delle proprietà con un estenuante tiro alla fune col fisco>


Enrico Galleani (capello in testa) sale sull'auto della polizia dopo l'arresto per la scoperta degli esplosivi, sullo sfondo il giornalista Daniele La Corte

IL ROVINOSO TRACOLLO

DI UN’INTERA VALLATA

Quel  destino non segnò soltanto il tracollo finanziario di una famiglia che non lo meritava, ma di un’intera vallata, con Briga Alta ed i comuni imperiesi di Mendatica, Cosio, Pornassio, Montegrosso.  Ma è stata Mendatica, la sua popolazione, la sua economia, la più penalizzata. La grande sconfitta. Con conseguenze devastanti sulle giovani generazioni.

Un paese, le sue frazioni sparse fino a Monesi vecchio, tagliate fuori dal futuro.

 Con la morte di alberghi, ristoranti, bar, negozi, la perdita di valore degli immobili costruiti e dei “tecci” ristrutturati, l’emigrazione forzata alla ricerca di lavoro, di dignità di vita.

Una pagina che non può essere facilmente cancellata dagli anni. La storia, la cronaca raccontano le grandi colpe, le promesse  mancate della Regione Liguria in primis,  dal centro sinistra al centro destra, e giù a cascata fino a chi non ha avuto l’intuizione, la forza che forse occorreva far scendere in strada la popolazione. Farde le barricate.

Monesi si è spenta, pur per una molteplicità di cause concomitanti, senza una manifestazione di protesta. Pochi avevano chiaro un concetto: quel viatico, da olio santo, alle fortune economiche dei Galleani, avrebbe trascinato nel baratro, nello spopolamento, nella desolazione, nell’abbandono, un’intera vallata.

Con i parlamentari, i rappresentanti del popolo, di ogni colore, che “stavano a guardare” o quasi. Mentre sarebbe stato necessario una “legge speciale”, come si è fatto in altre Regioni.

Monesi perdendo i Galleani ha subito un clamoroso autogol. La Provincia di Imperia, la Regione Liguria, perdendo Monesi (gli impianti ricadono nel Comune di Triora, un’assurdità totale) hanno condannato la vallata, messo a tappeto l’economia, rinunciato ad una risorsa che avrebbe potuto continuare a creare benessere, posti di lavoro, sviluppo nel rispetto dell’ambiente. Evitare l’estinzione, salvo miracoli sempre possibili ed auspicati, dell’intera popolazione dei paesi gravitanti, fino a Nava, frazione di Pornassio. Non è sostenibile la scusa che a mettere i bastoni tra le ruote hanno provveduto soprattutto i fratelli Toscano, proprietari dell’intera montagna sovrastante ”Monesi” nuova. Sempre incerti e diffidenti.

Oggi è rimasto lo sforzo, l’impegno, la serietà di un manipolo di volontari, pubblici amministratori, e delle Pro Loco, che lottano con i parsimoniosi aiuti-elemosina utili per “sopravvivere”, non per la svolta, tanto attesa, più volte promessa, rinviata.


                     Monesi

LE ULTIME NOTIZIE

SUL FUTURO DI MONESI

Sulle ultime notizie di Monesi, dedicheremo un altro servizio, ma anche si avverassero i reiterati annunci (nuova seggiovia, riqualificazione del vecchio albergo, interventi annessi), ci vorranno anni per il rilancio complessivo.

Oggi resiste la trattatoria-albergo La Vecchia Partenza, per solo merito della famiglia Porro. Inossidabile, ammirevole la resistenza del vicino bar gestito da Guido Lanteri, sindaco di Briga e dalla moglie. A San Bernardo merita la medaglia il ristorante-albergo “Da Settimia”, il secondo albergo ha chiuso da anni. Stessa sorte è di recente toccata alla “Campagnola” di Mendatica. E’ rimasto L’Agriturismo, di Tersilia Pelassa, con ristorazione e camere; la pizzeria U Tecciu.

 

GLI ULTIMI PASTORI

TRA I FANS DEL VESCOVO

Intanto gli ultimi pastori (gli indigeni si sono estinti)  hanno salutato con gioia la presenza tra le loro montagne, i “loro” pascoli, dell’illustre ospite, Domenico Calcagno.

Sono gli “eroi” delle nostre montagne. Anch’io, da bambino, ho avuto la fortuna di vivere tra i pastori, con i nonni; essere forse l’unico giornalista  che può raccontare  cos’era, all’epoca, la vera transumanza. Come si viveva, tra case in pietra, letti di pagliericci, senza acqua e senza luce, fino agli anni sessanta. Ho raccolto, per darlo alle stampe, i ricordi, le testimonianze, degli ultimi sopravvissuti della pastorizia. Ho ricostruito tutti i nuclei famigliari che la praticavano, le zone di pascolo in montagna, l’emigrazione verso la costa.

Alle soglie del terzo millennio quelle montagne ricche di ricordi e di storia, di sacrifici inenarrabili, sono frequentate d’estate da Aldo Lo Manto, origini siciliane, diventato il primo pastore della Liguria, con 1500 capi, tra pecore in maggioranza, capre e 36 bovini. Lo Manto, l’ho scoperto per caso, vent’anni fa, a Bastia di Albenga, nella tenuta della famiglia Anfossi. Alle fiere, alle sagre, alle mostre dei prodotti tipici, espone con orgoglio la gigantografia del primo articolo, con foto, che  era stato pubblicato dal Decimonono. E’ stato ospite di trasmissioni televisive per storie rosa. La sua vita di siciliano, venuto al seguito del padre che col gregge caricato su un treno, giunse alla stazione di Albenga e poi lungo le strage centrali, meriterebbe ben altra considerazione sulla carta stampata e sul piccolo schermo.

Alpi Liguri
           Alpi marittime
Sulle Alpi Marittime, tra l’imperiese ed il cuneese, oltre a Lo Manto, i fratelli Carlo e Nicola Saguato, 600 mucche, record in Liguria, che vivono a Diano San Pietro. Seguiti da Nevio Balbis, cittadino di Sanremo, con le sue 300 pecore. Infine un indigeno, a Cosio d’Arroscia, Renzo Pelassa, con un centinaio di pecore.

Hanno visto il vescovo Calcagno, hanno contribuito a mantenere quella riservatezza che l’ospite desiderava e merita. Superfluo chiedere conferme, ma si racconta tra i pastori che è toccato, il giorno della cresima, ad Aldo Lo Manto indossare le mansioni di cuoco. Ha preparato la “pecora bollita” (piatto poco conosciuto, ma squisito), Gigi ha invece cucinato l’agnello al forno, le donne hanno provveduto alla pasta fatta in casa e ai dolci. A festeggiare Simone, cresimato fortunato e giudizioso, oltre ai genitori, due fedeli accompagnatori di monsignor Calcagno. Uno è Aldo Gasco (la figlia Roberta è consigliere regionale dell’Udeur), ex esponente di primo piano della Dc savonese, ex commensale preferito dal prof. Secondo Olimpio, già sindaco di Bardineto, braccio destro del più volte ministro e padre della Costituente, Paolo Emilio Taviani, che in quella zona di Monesi e Navette aveva fatto tappa.

Non lontano dalla “Casa dei Cacciatori”, ma sulla strada sterrata, possiede una caratteristica “casa alpina” un ex big della politica ligure, Manfredo Manfredi, titolare della maxi-riserva di caccia, assieme all’industriale Carli. Al quel tavolo si sono spesso incontrati, hanno stretto patti ed alleanze esponenti di spicco della politica, dei partiti, del mondo economico, della Liguria e non solo.

Con Gasco e Calcagno, un altro loanese, Gian Riccardo Ferrari (ù Cabàn), che nel 2005 ha dato alle stampe “Profumo di Arziglio” – L’antica cucina dei pescatori loanesi e liguri”: 1.500 copie andate a ruba, con ricavato in beneficenza, devoluto all’Associazione “DopoDomani Onlus” di Loano. Il volume è corredato da stupende immagini, in bianco e nero, di una città e della sua gente, prima che fosse sfregiata dal cemento e dagli speculatori. Prima che la sua spiaggia, un tempo terra di pescatori, fosse inghiottita da altre colate di ferro, cemento e solette. Con l’obiettivo di cambiare il volto, rilanciare (?) il turismo.

UN LIBRO RICORDA

LOANO DEI PESCATORI

Nell’introduzione al libro del giornalista scrittore Giacomo Affenita, la frase: <...Sì, è tempo di ritornare, insieme all’autore, là dove sono nate le cose che lui  racconta e condividerne il senso e la bellezza. E dire, con lui e grazie a lui, che cosa abbiamo perso e che cosa stiamo perdendo di ciò che dovrebbe essere tutelato come se fosse il nostro patrimonio più prezioso>.

Forse a molti loanesi il libro-testimonianza di Ferrari è sfuggito o l’hanno letto con superficialità. Altrimenti l’“appello” a conservare e tutelare il patrimonio ambientale non sarebbe rimasto inascoltato.

Gasco e Ferrari, hanno il privilegio di accompagnare una personalità di spicco, chiamata ad amministrare il patrimonio di una chiesa universale, in un angolo di paradiso terreno. Con le città cementificate all’orizzonte.

Un ultimo, curioso tassello. La segreteria vescovile di Savona un martedì mattina, di luglio, alla domanda del cronista (<Risponde a verità la notizia che il vescovo ha cresimato un bambino sulle Alpi Marittime....?), ha risposto : <Non ci risulta, non è possibile. Prima di voi l’avrebbero saputo e pubblicato i giornalisti di Savona sempre molto attenti e presenti.... Il consiglio è non scrivere cose false che possono danneggiare... il vescovo proprio in questo momento.... Con conseguenze....>.

Su quelle montagne, in quei giorni, era tornato anche il cronista. Un ritorno all’infanzia, ai ricordi, ai prati dove si pascolava il gregge, si dormiva nel “ciabotto”, si mungeva all’alba. Dove le provviste di viveri arrivavano una volta in settimana. E la buona notte, con i nonni, chiudeva la lunga faticosa giornata, unita al segno della croce e alla “Preghiera del pastore”.

Luciano Corrado