UOMINI E BESTIE 8: Prospezioni dell’immaginario Le Sirene parte sesta
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Secondo Platone le Sirene vivono nel mondo dei morti (Crat. 403d) e sovrintendono all’armonia delle sfere (rep. 617b4-7). Proclo, nel suo commento in PLAT. remp. 2, 237, aggiunge un magnifico ricamo fantastico: le Muse esprimono la musica della mente divina, cui è subordinata la musica dell’universo governata dalle Sirene, che sono di tre nature: celesti di Zeus monadiche, terrene di Posidone diadiche, e sotterranee di Plutone. E pure Plutarco, nelle Quaestiones conviviales, si richiama indirettamente al Maestro. Faccio seguire nell'ordine le tre tradd.
[Er raccontò che il fuso] si volge sulle ginocchia della Necessità. Su ognuno dei suoi circoli nella parte superiore corre trascinata in tondo una Sirena, che manda un’unica voce con un’unica altezza; da tutte loro, che sono otto, nasce l’accordo di un’unica armonia. (PLAT. resp. 617b).
Com’è noto nel X l. della Repubblica 616b sqq. è narrata la storia del guerriero panfilio Er che, morto in battaglia, mentre stà per essere arso sulla pira torna in vita e descrive ciò che ha visto del mondo di là, in particolare “una luce simile all’arcobaleno che tiene insieme tutta la circonferenza del cielo; alle estremità è sospeso il fuso di Ananke, la divinità che rappresenta la necessità o il destino ineluttabile, per il quale girano tutte le sfere. Il fusaiolo è formato da otto vasi concentrici, messi uno dentro l’altro, e ruotanti in direzioni opposte sull’asse del fuso. Su ogni cerchio stà una Sirena, che emette un’unica nota, e le diverse Sirene tutte insieme producono ruotando un’armonia. Gli otto fusaioli rappresentano gli otto cieli concentrici della cosmologia antica, nell’ordine pitagorico: stelle fisse, Saturno, Giove, Marte, Sole, Venere, Mercurio e Luna. Il fuso gira sulle ginocchia di Ananke. Le tre Moire, o latinamente Parche, siedono in cerchio su tre troni a uguale distanza; sono figlie di Ananke: Cloto, la filatrice, canta il presente, Lachesi, la distributrice, il passato, e Atropo, colei che non può essere dissuasa, l’avvenire” (Maria Chiara Pievatolo, con qualche modifica).
Il Fuso della Necessità. A: uncino: B: stelo; C: cocca; D: fusaiolo; E: cercine del fusaiolo
Che sia il Fuso della Necessità e quale particolare fusaiolo rechi, viene spiegato nei passi precedenti; qui Platone introduce le forme divine ed incorporee che presiedono ai movimenti del Fuso, in primo luogo le Sirene, dicendo che su ogni circolo ne corre una ed è trascinata in tondo dal circolo stesso [lac.] il termine altezza non è certo fuori luogo in un discorso musicale [lac.] indica una nota uniforme ed un suono puro. L’“unica voce” significa dunque la sostanza non modulata della potenza ideale operante in un canto dopo l’altro, dal momento che ogni Sirena emette sempre la stessa voce, invece l’“unica altezza” significa una voce determinata che si spiega facendo echeggiare un’unica nota, infatti nell’estensione vocale anche la nota si chiama altezza. Infine Platone scrive che, otto essendo i circoli e otto le Sirene, da tutte sorge un’unica armonia come quella dell’ottava, che si considera composta di otto estremi e sette intervalli, cosicché la potenza delle Sirene è assimilata alle note, che rendono l’ottava l’accordo piú perfetto, e gli intervalli fra una e l’altra sono disposti secondo l’ordine che esse osservano, cominciando dalla nete, che è la più bassa all’interno, sino all’ipate, che è la piú alta all’esterno: infatti è necessario che ciò ch’è piú esterno si muova piú rapidamente, anche se pare che il periodico ritorno degli astri sia di maggior durata per il fatto che le orbite hanno una grandezza proporzionalmente maggiore rispetto alle altre orbite di quanto non l’abbiano i movimenti uno rispetto all’altro, o almeno, questo da tutti si conviene. Se è vero che tale è la disposizione voluta da Platone, che cosa si dovrà dire rappresentino codeste Sirene? Sostenere che siano le Muse e che noi vi abbiamo addizionato l’ultima per raggiungere la cifra perfetta dell’enneade, non è argomentazione propria di chi s’attenga al testo. Oltre al fatto che per esser trascinate in tondo dai circoli le Sirene si dimostrano subordinate alle Muse [lac.] perciò posseggono moti regolati da rapporti armonici e procacciano ai circoli su cui posano un movimento assolutamente uniforme. Ma in forza di quale loro intima essenza e di quale disposizione? Che, essendo sovrordinate a corpi materiali e controllando senza interruzione i circoli, siano di necessità anime, è evidente, tanto piú che l’esser “trascinate in tondo dai circoli” rivela che senz’alcun dubbio si muovono tramite spostamenti: ora, se Platone non avesse scelto una narrazione poetica, avrebbe scritto che le Sirene conducono in giro con sé i circoli, invece alla maniera dei favolatori ha invertito l’ordine naturale ed ha rappresentato le Sirene portate in giro dai circoli. Dunque se anch’esse si muovono di un movimento circolare incorporeo, è ovviamente necessario che siano in qualche modo anime dotate di una vita mentale, perché il giro è emblema della mente, come ci ha insegnato lo Straniero di Atene [PLAT. leg. X 897c sqq.], e le anime si muovono in giro ad opera della mente. Se quest’interpretazione è corretta concorda colle riflessioni filosofiche del Timeo sulle anime divine disposte in proporzione armonica; e se Platone ha descritto il loro movimento come una scala d’accordi, la loro essenza dovrebbe essere costituita dalle proporzioni armoniche come scrisse anch’egli; e se percorrono una circonferenza, sono anch’esse in certo modo circoli, come pure afferma Timeo. Tornando alle Sirene, se ciascuna di esse “manda un’unica voce” ed “un’unica altezza”,la loro essenza dev’essere puramente razionale, visto che compiono un’azione semplice e priva di parti a differenza delle nostre, calcolando e deducendo razionalmente questo e quello per aver conoscenza del tutto; inoltre, se assieme danno vita ad un’“unica armonia”, in un certo senso eseguono tutte una danza corale intorno ad un unico capocoro che è l’anima dell’universo. Dunque le ha chiamate Sirene per indicare l’armonia materiale che esse impartiscono ai circoli, ma Sirene celesti per distinguerle da quelle del mondo generato, ch’egli stesso altrove [Phaedr. 259a] consiglia d’evitare durante la navigazione come fece Odisseo nel celebre episodio omerico. Queste provengono dalla diade, se è vero che il poeta nell’espressione phthoggèn Seirḗnoiïn: “la voce delle Sirene”, usa il duale per mostrare che sono due [in realtà Omero, Od. XII 128 dice phthóggon Seirēnỗn, il duale lo usa altrove: v. 167]; quelle invece provengono dalla monade, perché è la Sirena del circolo piú esterno che guida l’ebdomade. Ond'è ovvio che anche la diade abbia un suo corteggio di sottoposti, e se quello della monade celeste ne annovera sette, quello della diade del mondo generato il doppio, dato che anche i metafisici spesso sostengono che le zone celesti si duplicano nel mondo sublunare. Esistono poi anche Sirene che diremo infernali, di cui fà chiara menzione Platone stesso nel Cratilo [403d], là dove scrive che esse non vogliono mai abbandonare gl’inferi, affascinate come sono dalla sapienza di Plutone. Esistono dunque secondo lui tre stirpi di Sirene: quelle celesti sacre a Zeus, quelle del mondo generato sacre a Posidone e quelle sotterranee sacre a Plutone; comune a tutte è la cura dell’armonia materiale, mentre le Muse ci recano l’armonia intellettuale, per cui si racconta che trionfino sulle Sirene e si pongano in capo corone di vittoria fatte colle loro penne, infatti le dirigono stando a contatto con esse e trasmettendo loro l’energia del proprio intelletto che in tal modo le guida. (PROCL. in PLAT. remp. II 237-9).
A commento del testo di Proclo, traduco qui di séguito il commento latino di Calcidio al Timeo.
Teniamo presente che descrivendo la prima volta la creazione dell’anima Platone dice che essa fu costituita in modo tale che un lato risulta di numeri duplici e l’altro di numeri triplici e che sulle due parti si trovano sette numeri finiti, separati sui singoli lati da tre intervalli. | |
![]() | Delinea poi un’immagine ed una rappresentazione simbolica del mondo pari all’abbozzo da lui usato appunto per spiegare l’anima e pone [38c sqq.] sette orbite degli astri vaganti, curando che distino fra loro secondo intervalli musicali cosicché i cieli, come vuole la dottrina pitagorica, rotando di moto armonico producono durante il loro vorticoso rivolgimento modulazioni musicali, proprio come in quel luogo della Repubblica |
in cui afferma che su ogni circolo insiste una Sirena e che tutte insieme rotando coi loro circoli emettono ognuna un unico soavissimo canto e da codesti otto suoni diseguali scaturisce un solo concorde concento. Perciò apparterrà all’anima la ragione che non vaga, cosí come vaganti sono invece l’iracondia e la cupidigia e tutti codesti altri moti passionali dal cui concento viene ritmicamente regolata la vita mondana [42a sqq.]. (CHALC. in PLAT. Tim., p. 147 WASZINK)
Nel testo platonico (35c sqq.) Dio crea l’anima del mondo (“la prima volta” di Calcidio si riferisce al fatto che in 41a sqq. è descritta la creazione dell’anima individuale da parte del Demiurgo) contemperando tre essenze: Indivisibile, Divisibile ed Intermedia, poi determinando sette numeri-suono finiti: 1, 2, 3, 4, 8, 9, 27, e distribuendoli sui due lati del composto come mostra la figura. Le due serie cosí ottenute sono due progressioni geometriche, la prima di ragione due, la seconda di ragione tre, ossia due successioni numeriche ordinate tali che il rapporto fra ogni termine d’esse ed il precedente sia costante. Fra codesti toni fondamentali s’aprono degl’intervalli sonori che debbono essere “riempiti” con due semitoni, calcolati quali media aritmetica e media armonica dei due estremi finiti che individuano l’intervallo, e con un terzo semitono frutto della media armonica fra il precedente semitono e l’estremo finito superiore; in termini matematici, dati due numeri p e q, la loro media aritmetica A ne è la semisomma:
Ecco infine il testo dalle Quaestiones conviviales plutarchee, di cui si faceva cenno sopra. Nella XIV Tischrede del IX l., Osservazioni singolari sul numero delle Muse, Lampria, fratello di Plutarco, dice che da principio erano tre, cui la tradizione delfica erroneamente assegnò in séguito i nomi delle tre note fondamentali: Nete, Mese e Ipate, laddove in origine gli antichi vollero con esse significare la filosofia, la retorica e la matematica. Interviene poi Plutarco, che comincia: “Mi meraviglio che Lampria ecc. ecc.”
"Mi meraviglio che Lampria abbia trascurato di citare l’opinione dei Delfici. Essi dunque ritengono che i nomi che danno alle Muse non vengano dalla musica corale o strumentale: secondo loro l’universo nella sua totalità è diviso in tre regni, di cui il primo è quello delle stelle fisse, il secondo dei pianeti [nel senso antico, ossia gli “astri vaganti”, contrapposti alle stelle fisse, il firmamentum], l’ultimo del mondo sublunare, tutti interconnessi e ordinati secondo rapporti d’armonia, e governato ciascuno da una Musa, il primo da Ipate, l’ultimo da Nete e l’intermedio da Mese, la quale tiene insieme, per quanto sia possibile, ed insieme fà ruotare, il perituro e il divino, il terreno e il celeste. Anche Platone esprime in modo allegorico questo concetto quando, senza chiamare in causa le Muse, assegna i tre regni alle Parche, Atropo, Cloto e Lachesi, affidando le rivoluzioni delle otto sfere alla tutela d’altrettante Sirene”. Intervenne a questo punto il peripatetico Menefilo. “L’opinione dei Delfici è in qualche misura plausibile, sembra invece fuori luogo che Platone sottoponga le sempiterne e divine rivoluzioni non alle Muse bensí alle Sirene, che sono esseri soprannaturali tutt’altro che benigni ed amici degli uomini, trascurando completamente le Muse o attribuendo loro i nomi delle Parche e definendole figlie della Necessità, perché la Necessità è nemica dell’arte, laddove dell’arte e delle Muse è amica la Persuasione. Perciò a parer mio la Musa [traduce mousikòn d'hē Peithṓ kaì Moúsais phílon, diò Moûsa, che è un emendamento del tradito, incomprensibile philodamoûsa]
detesta Necessità intollerabile
ancor piú che non la detesti l’Amore di Empedocle [116 FVS DIELS-KRANZ]”. “È senz’altro vero -disse Ammonio-, ma solo se consideri la causalità ineluttabile e incosciente che regna nel nostro mondo; la necessità degli dei non è invece intollerabile, secondo me, né sorda né oppressiva se non per i malvagi, proprio come ai buoni cittadini di uno stato le sue leggi appaiono inflessibili ed immutabili [il diritto attico considerava “costituzionali” tutte le leggi che, in quanto divine, erano in via di principio immutabili] non perché non si possa, bensí perché non si vuole cambiarle. Il mito platonico è quindi in apparente contraddizione colle Sirene di Omero, che c’incutono terrore, perché anche il poeta tramite il velo dell’allegoria in realtà indicò che la potenza del loro canto non è disumana né letale, e anzi assoggetta ed ammalia col fascino le anime, che da questo mondo debbono raggiungere l’altro e vagano incerte, suscitando in esse l’oblio della vita mortale e il desiderio di quella divina e celeste, cosicché prese dal piacere seguono alla fine le Sirene ed entrano con loro nell’eterna circolazione. Di quella musica giunge a noi sulla terra come un’eco indistinta, che richiama a sé le anime tramite la forza del discorso filosofico e suscita in esse il ricordo di ciò che udirono in precedenti esistenze; le orecchie della maggior parte degli uomini sono spalmate e impiastrate non dall’impedimento della cera bensì da quello delle passioni carnali, ma l’anima naturalmente nobile percepisce quell’eco e rammenta e cade preda di un’irrequietudine pari a quella degli amori piú folli, tormentata com’è dal bramoso desiderio di liberarsi del corpo senza poterlo fare. Quest’interpretazione non mi convince del tutto, ma per lo meno ritengo che Platone, il quale metaforicamente chiama fuso e conocchia l’asse del cosmo e fusaioli gli astri, altrettanto metaforicamente chiami le Muse Sirene perché <s>eirusi, ossia 'proclamano' il divino e lo diffondono nel regno del Signore delle Ombre, come dice l’Odisseo di Sofocle [fr. 861 TGF RADT = 777 NAUCK]:
Le Sirene raggiunsi, prole di Forco, che intonano le leggi del Signore delle ombre”.
(PLUT. quaest. conv. 745a-f).
MISERRIMUS |