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UOMINI E BESTIE

8: Prospezioni dell’immaginario

Le Sirene

Terza parte

 

Delle Sirene dobbiamo dunque andare a cercarci notizie presso i postomerici, poeti, mitografi, commentatori, lessicografi, christiani, dai quali risulta che il padre è il fiume Acheloo (l'Aspropotamo, nasce dai monti di Lakmos e di Peristeri, a sud di Metsovo, attraversa il Pindo, l’Etolia, la piana di Agrinio a sfocia nel Mar Ionio di fronte alle isole Echinadi), la madre una musa: Tersicore, (schol. LYCOPHR. 653), Melpomene (PSAP. I 18), Calliope (SERV. in VERG. Aen. V 864), oppure Sterope (PSAP. I 63, non la Pleiade, bensí la figlia di Portaone), oppure la Terra, fecondata dal sangue del corno che Ercole strappò ad Acheloo (i geni dei fiumi erano rappresentati cornuti: si v. l’immagine qui sotto) durante la lotta per il possesso di Deianira (LUC. salt. 50), finalmente, secondo Sofocle (fr. 861 TGF RADT = 777 TGF2 NAUCK), il mostro marino Forci.

 

 Piccolo vaso, con ogni probabilità d’origine rodiota, risalente al 570a ca, oggi al Louvre (n. d’inventario H. 40), il quale figura la forma della testa del dio fluviale polimorfo Acheloo.

 

Seguono alcuni testi tradotti a commento di quanto detto.

 

Si dice che Acheloo fosse figlio della Terra, ma questa discendenza è spesso attribuita a quelli di cui s’ignora il nome dei genitori perché vissero in un lontano passato. Costui quando perse le figlie, ch’erano le Sirene, avute dalla musa Melpomene o secondo altri da Calliope, sopraffatto dal dolore chiese aiuto alla madre, supplicandola di porre rimedio al lutto che affliggeva la sua vecchiezza. Ella impietosita spalancò allora in se stessa una voragine dove lo seppellí e poi, per dargli fama imperitura, fece sgorgare nell’Etolia o secondo altri dal Pindo, un monte della Tessaglia, un fiume [cfr. Guide p. 47 e supra pag. 106] che portava il suo stesso nome.

(SERV. in VERG. geor. I 8).

 

Da Portaone e da Eurite, la figlia d’Ippodamante, nacquero cinque figli: Eneo, Agrio, Alcatoo, Melante e Leucopeo; e una figlia, Sterope, dalla quale Acheloo, a quanto si racconta, ebbe le Sirene.

(PSAP. I 63).

 

 

Quanto ai nomi, va prima di tutto chiarito che, da Od. XII 166-7:

 

emerge che all’inizio erano due, le quali secondo schol. in HOM. Od. XII 39 si chiamavano Aglaoph (“colei dalla splendida rinomanza”, o forse meglio “parola”) e Thelxiépeia (“colei dall’ammaliante canto”). Piú tardi, in omaggio al principio numerologico che omne trinum est perfectum, ne fu aggiunta una terza, di nome Peisinóē (“colei che persuade le menti”). A questa onomaturgia libresca, secondo me d’origine alessandrina, se ne affianca una epicorica, piú antica, testimoniata presso Licofrone (720 sqq.) e nei commenti, che va in cerca dei luoghi delle sirene nell’Italia meridionale, onde si potrebbe con buona verisimiglianza farla risalire agli Italiká di Timeo (566.T1 JACOBI FGH), e chiama le tre incantatrici Parthenópē (“colei che ha voce di fanciulla”), Leukōsía (“colei che ha voce chiara”, oppure “che ristabilisce il bel tempo”: ne ho già accennato nella scheda prec.) e Lígeia (“colei che ha voce melodiosa”). Naturalmente ci sono alcune varianti, ad es. Aglaóphōnos e Thelxiópē, ma la triade resta riconoscibile. I virgiliani (Aen. III 864) Sirenum scopuli, Sirenum petrae presso Mela (II 62), inoltre STEPH. BYZ. eth. 559 (= HEROD. pros. cath. III 1, 69 LENTZ, da PsAr. mir. ausc. 110):

 

Le Sirenuse sono isole dell’Italia che si trovano presso lo stretto [la Bocca Piccola], proprio al vertice [Punta Campanella] del promontorio [la Penisola Sorrentina] che separa il golfo in cui è Cuma [il Golfo di Napoli] da quello che prende nome dalla città di Posidonia [Paestum; il Golfo di Salerno]; su tale promontorio sorge anche un tempio dedicato alle Sirene, che vi sono oggetto di grandissimo culto; questi sono i loro nomi: Partenope, Leucosia e Ligea;

 

e STRAB. I 2, 12:

 

Dalla zona in prossimità di Sorrento sino allo stretto di Capri si protende un braccio di terra lungo e angusto, che su di un lato della sua scoscesa formazione [la costa settentrionale della Penisola Sorrentina tra le punte di S. Lorenzo e di Bacoli] ospita il tempio delle Sirene, sull’altro che s’affaccia al golfo di Posidonia tre isolotti costieri disabitati e petrosi che si chiamano le Sirene, e proprio in corrispondenza dello stretto il tempio di Atena, da cui prende nome anche il braccio stesso;

 

i virgiliani Sirenum scopuli, dunque, sono i tre scogli disabitati del Gallo Lungo, della Castelluccia e della Rotonda, che formano l’Arcipelago dei Galli tra San Pietro e Sant’Agata sulla Costiera Amalfitana. L’antico nome andò perduto e la denominazione attuale si trova usata per la prima volta nella cronaca dell’Abate di Telese (1133), il quale ricorda la loro conquista da parte di Ruggiero di Sicilia e le chiama “Guallo”, evidentemente dal patronimico della famiglia Guallo o Gallo della terraferma (NORMAN DOUGLAS, Siren Land, 1983, rist. della prima ed. del 1923), non certo dall’esser dei “galli”, ossia dei pennuti come le Sirene, né tanto meno dal fenicio, che sono due ipotesi sostenute da alcuni dotti locali. Ne parla Scipione Mazzella nella sua Descrittione del Regno di Napoli, edita dalla Stamperia dello Stigliola a Porta Reale a Napoli nel 1597:

 

Nel voltare del detto Promontorio [Punta Campanella] vi sono certe Isolette deserte, e sassose, nominate le Sirene, in una delle quali da quella parte che risguarda à Surrento ne’ tempi antichi si vedeva un ricco Tempio [lo PseudoAristotele e Strabone però lo collocano sulla costa], ove erano alcuni molto antichi doni, già presentati da gl’habitatori del paese per veneratione, e riverenza del sacrato luogo, del quale hoggi vi sono i vestigi.

 

Questa dei Galli non è l’unica identificazione, comunque: ad esempio, rimanendo nella zona, l’isolotto di Licosa a Punta Licosa, che chiude a sud il golfo di Salerno, richiama palesemente Leukōsía, Lígeia si collocava a Punta Campanella, che lo delimita a nord, sopra un grosso faraglione alto oltre dieci metri, comunemente conosciuto come “‘O Scuoglio d’’a Campanella”, e Parthenópē si diceva fosse sepolta a Pizzofalcone di Napoli. Inoltre Servio (in VERG. Aen.V 864):

 

Le Sirene secondo il mito furono tre, in parte fanciulle in parte uccelli, figlie del fiume Acheloo e della musa Calliope. Una di esse cantava, un’altra sonava il flauto, la terza la lira. Abitarono dapprima presso il Capo Peloro [Capo Faro poco a nord di Messina], poi nell’isola di Capri [invero di fronte: supra] e irretivano i naviganti col canto spingendoli al naufragio. In realtà si trattava di prostitute che, per il fatto d’aver ridotto all’indigenza i clienti che passavano nei loro paraggi, furono allegoricamente rappresentate come esseri che li facevano naufragare [evemerismo di cui riparleremo in una prossima scheda]. Ulisse sfidandole con successo ne causò la morte.

 

Alcuni pensarono pure di riconoscere nell'isola di Astola, esplorata da Nearco durante la sua navigazione mentre Alessandro compiva la terribile marcia per il deserto della Gedrosia (il Baluchistan), l'isola delle Sirene.

In séguito le due serie di nomi vennero confuse, ad es. in SUID. s. v. Sirễnas, sigma 280:

 

I nomi delle sirene: Telsiepe, Pisinoe, Ligea; l'isola in cui abitavano Antemusa.

 

Il nome dell’isola, anche in EUSTATH. in Od. II 5, schol. HOM. Od. XII 39, AP. RHOD. 892 e schol., escogitato da Esiodo fr. 27 MERKELBACH-WEST = fr. 68 RZACH 2, viene dalla necessità di specificare XII 167, trad. nella scheda prec., e fu forse suggerito dal “prato” su cui stano sdraiate le orchesse secondo Circe, XII 45. Inoltre schol. HOM. Od. XII 39, ove diventano quattro:

 

I loro nomi: Aglaofeme, Telsiepe, Pisinoe e Ligea.

 

Alla ripresa dell' aggiornamento pubblicheremo, come già detto in precedenza, una Piccola appendice cartografica, che illustra i luoghi citati in questo articolo.

 

 MISERRIMUS